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.L'avvelenatrice non aveva più niente da fare in quella camera.Siritirò con tanta precauzione, da temere il rumore dei piedi sultappeto, ma nel ritirarsi teneva ancora sollevata la cortina,assorbendo quello spettacolo della morte, che porta in sé unairresistibile attrazione fino a che la morte non ha prodotta ladecomposizione: finché dura il mistero, non vi è ancora ilribrezzo.I minuti passavano, la signora Villefort sembrava non potersistaccare da quella cortina che teneva sospesa come una sindone aldi sopra della testa di Valentina; pagò il suo tributo allameditazione.La meditazione del delitto deve essere il rimorso.Inquel momento i crepitii del lume raddoppiarono.A quel rumore lasignora Villefort fremette, e lasciò ricadere la cortina.Nellostesso istante si spense il lume, e la camera fu immersa in unaspaventosa oscurità.In mezzo a quell'oscurità si risvegliò lapendola, e suonò le quattro e mezzo.L'avvelenatrice spaventata da quelle successive emozioni,raggiunse a tastoni la porta e rientrò nella sua camera col sudoredell'angoscia sulla fronte.L'oscurità continuò per due oreancora.Quindi, a poco a poco, una sinistra e debole luce penetrònell'appartamento, filtrando dagli interstizi delle persiane, apoco a poco si fece maggiore, e venne a restituire il colore e laforma agli oggetti ed ai corpi.In quell'attimo si sentì per le scale la tosse dell'infermiera, laquale entrò nella camera di Valentina con una tazza in mano.Perun padre, per un amante il primo sguardo sarebbe stato decisivo,Valentina era morta; per questa donna, Valentina dormiva."Bene" disse, avvicinandosi al tavolo da notte, "ha bevuto unaparte della sua pozione, il bicchiere è per due terzi vuoto."Quindi andò al caminetto riaccese il fuoco, e s'installò in unapoltroncina, e quantunque uscisse allora dal letto, approfittò delsonno di Valentina per dormire ancora alcuni momenti.La pendola la svegliò suonando le otto.Allora, meravigliata delsonno ostinato di Valentina, spaventata da quel braccio penzolonifuori dal letto, si avvicinò alla dormiente, e allora soltantorimarcò le labbra fredde e il petto gelido.Voleva riportare ilbraccio vicino al corpo, ma il braccio era di una rigidezzaspaventosa, sulla quale non poteva ingannarsi un'infermiera.Mandòun orribile grido.Quindi correndo alla porta:"Soccorso!" gridò, "soccorso!""Come, soccorso?" chiese dal fondo della scala il signor818d'Avrigny.Era quella l'ora in cui capitava il dottore."Come, soccorso?" gridò la voce del signor Villefort, uscendoprecipitosamente dallo studio."Dottore, avete sentito chiamaresoccorso?""Sì, sì, saliamo" rispose il signor d'Avrigny, "saliamo presto!Viene dalla camera di Valentina."Ma prima del padre e del dottore, erano entrati i servi che sitrovavano sullo stesso piano, sparsi per le camere o per icorridoi, e vedendo Valentina pallida ed immobile sul letto,alzando le mani al cielo, vacillavano come se avessero avuto levertigini."Chiamate la signora Villefort, svegliate la signora Villefort!"gridò il procuratore dalla porta della camera, nella qualesembrava non osasse entrare.Ma i domestici, invece di rispondere, guardarono il signord'Avrigny, che, entrato, era corso a Valentina, e la sollevavasulle sue braccia."Anche questa!." mormorò, lasciandola ricadere."Oh, mio Dio,mio Dio! E quando vi stancherete voi?"Villefort si lanciò nell'appartamento."Che dite? Mio Dio!" gridò, alzando le mani al cielo."Dottore!.dottore!.""Dico che Valentina è morta!" rispose il signor d'Avrigny con vocesolenne, e terribile nella sua solennità.Il signor Villefort stramazzò, come se le sue gambe si fosserospezzate, e cadde colla testa contro il letto di Valentina.Alle parole del dottore, alle grida del padre, i domesticispaventati fuggirono mandando sorde imprecazioni.S'intesero per icorridoi e per le sale i loro passi precipitati, quindi un granmovimento nei cortili, poi tutto finì, e il rumore si estinse: dalprimo all'ultimo, erano fuggiti da quella casa maledetta.In quel momento la signora Villefort, col braccio per metàinfilato nell'accappatoio, sollevava la portiera; per un momentoristette sulla soglia in atto d'interrogare gli astanti, echiamando in suo aiuto alcune false lacrime.Ad un tratto fece unpasso, o piuttosto un balzo colle braccia tese verso la tavola danotte: aveva visto d'Avrigny piegarsi con curiosità su queltavolo, e prendere il bicchiere che era certa d'aver vuotato nellanotte.Il bicchiere si ritrovava pieno per un terzo, precisamentecome era, quando ne aveva gettato il contenuto nelle ceneri.Lo spettro di Valentina ritto davanti all'avvelenatrice avrebbeprodotto minore effetto su di lei.Di fatto era quello il coloredella bevanda da lei versata nel bicchiere di Valentina, e daquesta bevuta, era quello il veleno che non poteva ingannarel'occhio del signor d'Avrigny, e che d'Avrigny guardavaattentamente: era quello un miracolo che senza dubbio faceva Dio,affinché restasse, malgrado tutte le precauzioni, una prova, unatestimonianza del delitto.Mentre la signora Villefort era rimasta immobile come la statuadel terrore, mentre Villefort, con la testa nascosta nellelenzuola del letto funebre, non vedeva nulla di quanto accadevaintorno a lui, d'Avrigny si avvicinava alla finestra per meglioesaminare coll'occhio il contenuto del bicchiere, e gustandone una819goccia presa sulla punta di un dito:"Ah" mormorò, "ora non è più la brucnina; vediamo che cosa è."Corse ad uno degli armadi della camera di Valentina, armadiotrasformato in farmacia, e sfilando dalla sua piccola nicchiad'argento una boccetta d'acido nitrico, ne lasciò cadere alcunegocce nell'opale del liquido, che d'un tratto cambiò in un mezzobicchiere di sangue vermiglio."Ah!" fece d'Avrigny, coll'orrore del giudice che scopre laverità, e colla soddisfazione d'uno scienziato che scioglie unproblema.La signora Villefort si volse un istante, i suoi occhi lanciaronofiamme, quindi si spensero: cercò vacillante la porta con la manoe uscì.Un momento dopo s'intese il rumore d'un corpo che cade [ Pobierz caÅ‚ość w formacie PDF ]